Cara maestra,
un giorno m'insegnavi
che a questo mondo noi
noi siamo tutti uguali.
Ma quando entrava in classe il direttore
tu ci facevi alzare tutti in piedi,
e quando entrava in classe il bidello
ci permettevi di restar seduti.
[...]
Luigi Tenco
Riflettevo, qualche giorno fa, con una ragazza di 15 anni (grazie Eva), su come (spesso in modo involontario e/o inconsapevole) insegniamo a scuola a mantenere gerarchie precostituite, attribuendo privilegi e gradi di rispetto in base al ruolo che una persona svolge nell'ambiente di lavoro.
Questo porta a valutare le persone, alla fin fine, in base a quanto prendono di stipendio.
Questo porta a considerare che il mestiere di bidello sia meno 'importante' di quello di maestra, di professoressa, di dirigente scolastico. Si', proprio in questo ordine, che non e' casuale.
Porta a far sembrare corretto, ovvio, anche giusto, che tale differenza si debba ribadire quotidianamente, differenziando il modo di salutare le persone.
Ma perché? Cosa vogliamo insegnare con questo ai nostri alunni? Che idea passiamo?
Io facevo la libera professionista, guadagnavo bene, sono laureata, ho un dottorato di ricerca. Mi chiedono spesso perché, arrivata ai quarant'anni, mi sia messa a fare... la 'maestrina'.
Come se la mia persona fosse cambiata, insieme al mio ruolo nella società, come se avessi fatto un passo indietro, mi fossi relegata in un lavoro da poco, di scarso interesse, di scarso rilievo.
E intanto quasi cento famiglie (alla faccia del 'maestro unico'... ho 4 classi!) mi delegano quotidianamente nell'educazione dei loro figli.
E delegano i 'bidelli' (o 'custodi', come mi piace di più chiamarli), che sono i miei colleghi quotidiani, ad accudire i bambini, a prendersi cura di loro, dei loro momenti di sconforto, della loro voglia di coccole e di rassicurazione.
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